La nebbia sale dal fiume e si insinua nella vie dei quartieri adiacenti. È una nebbia densa, fitta, di quelle che non si vede a 5 metri, che smorza i rumori e ottunde i sensi, adatta per Jack lo Squartatore.
– C’è la nebbia fuori – dice Monica Grinza, operatrice di biblioteca, guardando dalle finestre dell’ufficio distribuzione dei libri – a mia nonna piaceva tanto. Diceva che con la nebbia tutte le cose diventano chiare.
Prima che qualcuno possa rispondere, una richiesta di libri del magazzino esce dalla stampante di servizio.
– Tocca a me – Grinza si alza e si avvia verso i piani del magazzino.
Sente due colleghi che parlano mentre ricollocano i volumi restituiti dai lettori.
– Ti dico che è così. Il paese si chiama Alluvioni Cambiò perché ogni volta che c’è un’alluvione il Po modifica il territorio del comune – discetta di toponomastica e inondazioni, uno dei due.
– Non ci credo neanche un po’ e questo po’ è grande come il fiume – ribatte scettico l’altro.
Chissà se è vero, se è vero che quel paese si chiama così per quel motivo, si domanda Grinza mentre si infila in uno stretto corridoio tra gli scaffali. Trova il libro, lo sostituisce con il segnaposto, si volta per tornare.
Il collega, quello scettico sull’origine del nome del paese, le blocca il passaggio e con voce suadente e sguardo da seduttore da reality le domanda:
– Che si dice quando si incontra un bel ragazzo nei magazzini? – e poi – E brava la Grinza con la maglietta aderente che non fa una grinza – mentre, ridacchiando per la stupenda battuta, allunga una mano e le tocca il seno.
Lo lascia ululante dal dolore, steso a terra che si contorce stringendosi quelli che per lui sono i gioielli di famiglia.
– Il bel ragazzo bisogna trovarlo. A volte però incontri degli animali a cui serve essere educati – commenta.
Aveva ragione la nonna – con la nebbia le cose diventano chiare – con la nebbia capisci che quella pericolosa non è quella fuori, per strada; quella preoccupante è dentro, nel cervello.
E aveva anche ragione quando diceva che sono utili le scarpe con le punte rinforzate. Non saranno belle, però aiutano.
Grazie nonna.
Aurelio Aghemo
Quel giorno bruciò Vercelli.
Non che ce l’avesse con i suoi abitanti, anzi. In fondo gli avevano sempre ispirato una simpatica compassione per tutte quelle zanzare che d’estate li vessano.
– Non puoi - si era sempre detto ― andartene per strada con uno spray costantemente a portata di mano, in tasca o in borsetta, per diventare la colazione, il pranzo, la cena, passando per spuntini vari e happy hour, di quei terribili, sanguinari, minuscoli mostri alati.
Neppure puoi, senza provare una depressione al cuore, cenare in un dehors di ristorante trasformato in una gabbia-zanzariera i cui accessi sono presidiati da quei truculenti apparecchi friggizanzare che con un crepitio sinistro ti annunciano un’altra esecuzione mentre ti ingozzi beatamente di riso e rane. Il riso. È proprio il riso la causa dell’assedio zanzaresco alla città, circondata da distese di acqua immota per crescere la sua spiga.
Riso, acqua, culex. Che culex, veramente.
Non ce l’aveva con i vercellesi, però quel giorno bruciò loro la città.
Per un bieco, gretto, personale, fosco risentimento nei confronti di una donna. Erano stati compagni per tanti anni, poi lei gli aveva dato il ben servito.
– Non ti amo più – aveva detto.
– Hai sempre voglia di scherzare – aveva risposto.
– Non è uno scherzo. Non ti amo più, non siamo una coppia, non siamo niente – fu la sentenza.
Con questa triplice affermazione fu fatta rotolare la pietra sepolcrale su una vita comune. Pianse (neanche troppo), scongiurò (il giusto), inveì (non sufficientemente), implorò (in modo eccessivo). Niente.
Era tuttavia convinto che potesse esserci un punto su cui fare perno e scardinare la chiusura. Ricordate, no? Datemi una leva e un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo e via così.
Acquistò degli splendidi fiori. Due donne per strada gli sorrisero e scherzosamente gli chiesero se fossero per loro e sospirarono perché, per fortuna, esistevano ancora uomini sensibili.
Si recò dove il denegato amore svolgeva le sue attività professionali. Convinto di avere trovato le parole suadenti, i fiori adatti, l’espressione adeguata, l’intonazione perfetta, insomma tutto giusto.
E con imparziale giustizia i fiori finirono in un cestino, le parole furono sbeffeggiate, l’espressione venne giudicata patetica e l’intonazione ridicola: un perfetto en plein. Purtroppo in negativo.
Rimase lì, fermo come un dissuasore del traffico per un bel po’, guardandola andarsene e anche dopo che fu scomparsa rimase a lungo immobile.
Dal suo punto di vista (il punto di vista di lei) era anche stata equa – La colpa è al cinquanta per cento – e questa condivisione doveva essere la spiegazione necessaria e sufficiente per accettare senza problemi di essere lasciato.
Fu allora che si ricordò che per arrivare dove era in quel momento, e vedere crollare miseramente le sue speranze, aveva dovuto orientarsi perché non conosceva i luoghi e le vie.
Estrasse di tasca la cartina, un accendino, e bruciò Vercelli.
Eh, per dio, qualcuno doveva pagarla.
Aurelio Aghemo
L’elefantino verde emerse dallo stelo del calice, attraversò il prosecco, scavalcò il bordo del bicchiere e atterrò agilmente sul tavolino del bar scrollandosi come un cagnolino per liberarsi delle gocce del vino.
Quasi immediatamente lo seguì un ippopotamino rosa a pallini fucsia che, appena sul tavolino, ingaggiò una lotta furiosa con l’elefantino verde alla fine riuscì a bloccargli zampe e proboscide con dei campi locali di energia. –
– Mio Dio, mio Dio – esclamò angosciato Giovanni, il portalettere del quartiere – Sono alcolizzato all’ultimo stadio. – Vedo elefanti verdi e ippopotami rosa a pallini fucsia. Oh mio Dio! Non mi sembrava di bere tanto ― gemette terrorizzato.
– Non temere terrestre, non sei alcolizzato – gli disse l’ippopotamino rosa a pallini fucsia alzandosi sulle gambe posteriori mentre si rivolgeva a lui.
– All’ultimo stadio – rantolò Giovanni – lo sento anche parlare.
– Te lo ripeto terrestre, non sei alcolizzato – ribatté l’ippotamino – questa è un’operazione di polizia intergalattica. Sono l’agente speciale Xmyxxwighgl e ho finalmente catturato questo pericoloso furfante ricercato per truffe finanziarie in un centinaio di sistemi. Cercava di fuggire sulla Terra aprendo un varco dimensionale nel bicchiere del tuo prosecco ma sono riuscito a intercettarlo prima che creasse altri danni cercando di venderla ai Demirani.
– … i Demirani?
– Sì, quelli che poi usano i pianeti come discariche.
– Ha .. i Demirani, Giulia, Giulia, Giulia – invocò Giovanni rivolgendosi alla padrona del bar che stava disponendo i bicchieri sugli scaffali del bancone.
– Non ti sente e non ci vede nessuno, terrestre, siamo all’interno di un campo di stasi – e così dicendo afferrò l’elefantino verde e, trascinandolo, si tuffò con un balzo atletico nel prosecco scomparendo nel gambo del calice.
– Giulia, Giulia, Giulia – invocò di nuovo ad alta voce.
– Calmo, che c’è? – gli domandò di rimando la proprietaria.
– Portamene un altro – ordinò indicando il prosecco.
– Ma non l’hai ancora finito – constatò la donna.
– Non importa, portamene un altro.
E che … non aveva nessuna voglia di bere quella sciacquatura di pediluvio di due dannati animali in miniatura della savana galattica.
E poi, se ne era accorto, oh se se ne era accorto, non portavano nemmeno le mutande.
Alcolizzato, forse; pazzo, forse anche, ma igienista … e sì eh …
Aurelio Aghemo